domenica 24 febbraio 2008

2005 - Per filo e per segno

Gli artisti correlati:

Classica e millenaria tecnica dell’arazzo, il cui nome deriva dalla città francese Arras, è una tra le più delicate e meticolose che si conoscano. Gli artisti in mostra, proficui sperimentatori e memori dell’eredità trasmessaci dalla tradizione tessile dell’artigianato artistico sardo, scelgono di portare avanti un discorso analogo a quello dei “peintres cartonniers” capovolgendo, in parte, le nostre aspettative.Possiamo chiamare le opere di Gianni Atzeni, Italo Medda e Carla Mura - a confronto nelle sale espositive della Galleria G28 dal 19 marzo - arazzi, o “tappeti da parete”, perché in fondo nascono per arredare aree parietali. Perché in fondo il loro gioco è quello del decorare, dell’adornare un ambiente, di impreziosirlo portando l’arte oltre il confine della cornice, ad invadere lo spazio della vita.Gianni Atzeni con i suoi “Arazzi stampati” si riallaccia, se vogliamo, all'idea della pittura su pannelli di carta per l'arredamento di interni. Fino alla diffusione delle macchine industriali, infatti, tessuti e carta venivano decorati a mano, o stampati per mezzo di rulli artigianali di pregevole manifattura. E se l'arazzo è, in un certo senso, il più diretto antenato della carta da parati, Atzeni riesce a mettere in relazione le tecniche di stampa (poiché il “suo primo amore” è l’incisione) con quelle della tessitura.Gli arazzi di Italo Medda sono invece realizzati con strisce di carta tagliate e piegate in varie fogge e incollate su un supporto anch’esso di carta, anche in questo caso senza alcun intervento pittorico, e combinate in varie declinazioni e con soluzioni che solo in qualche caso sembrano rimandare a esempi di creazioni tradizionali: le composizioni sono necessariamente “suggerite” dalla particolare tipologia delle carte, sempre di uso comune come, per esempio, la carta da imballaggio o quella da regalo. Negli “intrecci” di Carla Mura il nero e il bianco hanno valore totale, abitano estensioni senza confini, profonde, dove il tempo sembra arrestarsi.I fili bianchi e neri che le sue dita pazienti “tessono” sulle superfici butterate di scaglie di pietra o di legni segnati dalle rughe del tempo, ma anche sui piani levigati e trasparenti di algida produzione industriale, si intrecciano e si avviluppano lungo i percorsi della mente: colori dal forte significato simbolico. La sfida è lanciata per l’abbattimento di una convinzione oramai superata, e cioè che possa chiamarsi arazzo solo un'opera tessile monumentale a contenuto narrativo; sulla scia di attempate opinioni critiche, che esclusero la possibilità di considerare «veri arazzi» persino i lavori tratti da dipinti non figurativi, si riapre, dunque, il dibattito delle cosiddette “arti applicate”, oggi di nuovo degne di essere pienamente inserite nella cultura del nostro tempo e in sintonia con le forme contemporanee dell'architettura.
Testo di Giorgia ATZENI - www.giorgiatzeni.com

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