domenica 24 febbraio 2008

2004 - Paesaggi

Artisti correlati:
Maria Caboni, Carlo Crasto, Anna Maria Caracciolo, Nicola Dell’Ova, Guglielmo Massidda, Maria Grazia Medda, Enrico Troja, Beppe Vargiu, Carlo Uda.
Continua alla G28 di Cagliari, con la mostra “Paesaggi”, la ricognizione sui pittori isolani delle ultime generazioni. Dopo la mostra “Dialettica degli opposti”, che poneva l’accento sulle eredità linguistiche direttamente discendenti da quelle avanguardie che avevano “messo al bando” la tradizione classico-romantica, con undici pittori che si confrontavano tutti sul piano della “astrazione aniconica”, o di tipo razionalistico-quantitativa o di tipo qualitativo-informale, il panorama si apre ora ad altre “visioni”, dove, accanto a costruzioni che ancora propongono esiti astratto-aniconici, troviamo presenze che raccontano, proprio attraverso il persistere dell’immagine, la loro visione del mondo.
Un panorama ampio quindi, che passa attraverso i lavori di Maria Caboni, Annamaria Caracciolo, Antonello Casu, Giannetto Casula, Carlo Crasto, Nicola Dell’Ova, Guglielmo Massidda, M. Grazia Medda, Enrico Troja, Beppe Vargiu, Carlo Uda.
Attenzione però. Non inganni il sapore naturalistico del termine: l’accezione di “paesaggi”, su cui si è voluto insistere, oltrepassa di molto il quadro dei rimandi ai quali le “abitudini” culturali, immediatamente, potrebbero far pensare. Qui sono paesaggi dell’anima e della mente, microcosmi di sensi che si definiscono nell’abitare e nell’essere abitati. Immagini, pensieri, paesaggi, appunto, edificati dai colori dell’immaginario, dalla fatica dell’ esistere, da raffinate elaborazioni della mente, dalle tensioni dell’utopia, o sospesi sulla rete leggera della memoria.
O, altrimenti, spazi dilatati, “smemorati” dalla ruggine del tempo, dove ancora abitano frammenti di ricordi, disseminati lungo i percorsi tortuosi del vivere, o custoditi nelle gelose segrete della nostalgia.
“Paesaggi” come rappresentazioni mentali, per dirla con Magritte: “paesaggi” fuori di noi, “paesaggi” di ciò che è sperimentato all’interno del nostro essere, oltre i vetri delle nostre percezioni mentali.
Non a caso Antonello Zanda, nel catalogo della mostra, parla di “orizzonte dello sguardo”. Dove, attenzione, lo sguardo “non è l’occhio, ma il soggetto sinestetico del vedere che sente e del sentire che vede. Non un corpo psicologico, ma una sintesi che supera il mondo fisico: una prospettiva prefigurante il medesimo atto prospettico”.
Un orizzonte oltrepassato nella sua linea di confine dallo sguardo che squarcia, dallo sguardo che esplora, lungo i percorsi del prima e del poi. Dilatato. E in continuo divenire.
“Il paesaggio – conclude Antonello Zanda – si presenta come inter/vista della temporalità: visibile autocosciente che risulta dall’effetto moltiplicante e mutante dell’osservazione. Il piano “pittorico” non rappresenta mai la realtà perché il visibile si mostra trasfigurato e metamorfizzato dal tempo come autocoscienza (natura culturante e cultura naturante). Ecco allora che il paesaggio (si) trans/forma perché se è vero che poeticamente l’ uomo abita questa terra, l’identità traspare nella poesia come forma del trasformarsi”.
Anche per questo appuntamento la felice idea di proporre un’ invenzione coreutica, “Improvvisazione astratta/2” che, su un’ idea di Assunta Pittaluga, è stata realizzata in modo efficace e con intensità dalle danzatrici Michela Mua e Roberta Sanniu.
Testo di Italo MEDDA

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